E’ stata condannata a 20 anni di carcere con il riconoscimento del vizio parziale di mente, Katalina Erzsebet Bradacs, ungherese di 44 anni, accusata di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, per avere ucciso con sette coltellate il figlio Alex, di due anni, nell’ottobre del 2021 a Pò Bandino di Città della Pieve dove adagiò poi il corpo sul nastro trasportatore di un supermercato.
La sentenza è stata emessa dalla Corte d’assise di Perugia.
Secondo la ricostruzione accusatoria la donna uccise il figlio in un casolare abbandonato. Poi si recò con il corpo nel supermercato e, scattato l’allarme, fu arrestata dai carabinieri.
Dalle indagini emerse che la donna era separata dal marito dopo una breve convivenza. Durante la sua requisitoria, la pm Manuela Comodi ha ricordato che a Bradacs il tribunale aveva revocato l’affidamento del figlio circa una settimana prima del delitto. Assegnando il piccolo in modo esclusivo al padre.
Per l’accusa l’imputata ha agito “in modo consapevole e con piena premeditazione”. “Aveva scelto il luogo ideale per l’omicidio – ha detto Comodi in aula – e ha abbandonato il passeggino prima. Gli ha tolto poi la maglietta insanguinata e gliene ha messa una pulita. Aveva consapevolezza di ciò che aveva fatto”. Per questo il pubblico ministero aveva sollecitato la condanna di Bradacs a 30 anni di reclusione, riconoscendo comunque l’attenuante del vizio parziale di mente.
Alla richiesta si è associato l’avvocato Massimiliano Scaringella, che ha rappresentato come parte civile il padre del bambino.
Secondo i difensori della donna, gli avvocati Luca Maori e Enrico Renzoni, Bradacs quando ha ucciso suo figlio era in tale stato mentale “da escludere la capacità d’intendere o di volere” e per questo ne avevano chiesto l’assoluzione per difetto di imputabilità, con applicazione della misura di sicurezza più
idonea. “Le emergenze istruttorie – hanno spiegato i legali in aula – ci consegnano una realtà composita nella quale, da un lato, la paternità della condotta omicidiaria appare riconducibile all’imputata; dall’altro, l’imputabilità della medesima risulta compromessa da una grave patologia mentale presente anche al momento del fatto criminoso”. (ANSA).