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“L’aborto cancella l’esistenza del nascituro. Ma adesso, con queste nuove indicazioni, quale sarebbe la libertà conquistata dalle donne? Quella di abortire confinate fra il tinello e il bagno di casa, nella speranza di non dover cercare soccorso in ospedale? Quella di tornare a essere sole, di fronte all’atto più drammatico che una donna può intraprendere? E dove sarebbe il merito politico? Noi vediamo piuttosto solo ideologia”.

È questo uno dei passaggi dell’intervento che Assuntina Morresi, presidente del Movimento per la Vita Umbria, fa sulle colonne del quotidiano Avvenire a commento delle novità relative alle metodologie di somministrazione della pillola abortiva Ru486, anticipate ieri dal ministro della salute, Roberto Speranza.

Non dovranno essere sole a casa, né particolarmente ansiose o con bassa soglia del dolore: questi alcuni dei criteri di accesso per le donne all’aborto farmacologico senza più ricovero in ospedale, secondo le anticipazioni delle nuove indicazioni del ministro Speranza. Indicazioni – scrive Morresi sul quotidiano dei vescovi – che parlano da sole, confermando quanto già sappiamo su questa procedura abortiva che non cambia la natura dell’atto – la soppressione di una vita umana resta sempre tale, con qualsiasi tecnica la si voglia realizzare – ma che ne modifica profondamente il vissuto e il significato”.

Si induce un aborto per via farmacologica e quel che succede è molto simile a un aborto involontario, con tutte le varianti che questo può avere, con la differenza che il corpo della donna non espelle spontaneamente il concepito, ma lo fa indotto da un prodotto chimico, interrompendo un processo fisiologico. Su questo punto non ci sono novità scientifiche in letteratura: i princìpi attivi dei farmaci usati sono sempre gli stessi, così come la risposta delle donne che li assumono continuerà a essere variabile e personale. Sappiamo che la procedura è più pesante e più incerta man mano che aumentano le settimane di gravidanza: finora si poteva abortire con la pillola fino a 7 settimane, d’ora in poi lo si potrà fino a nove”.

Il ricovero dei tre giorni in ospedale era quindi il modo per tutelare le donne dai problemi aggiuntivi di questa forma di aborto, che, ricordiamo, ha una mortalità maggiore di quella dell’aborto chirurgico, come anche, qualitativamente, le relazioni al Parlamento italiano sull’applicazione della legge 194 hanno mostrato: in quaranta anni è stata segnalata una donna morta a seguito di aborto chirurgico, mentre negli ultimi dieci anni le segnalazioni di donne morte dopo un intervento farmacologico sono state due. Le motivazioni di questo cambio di passo nell’aborto sono quindi solamente politiche”.


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E di errore politico parla anche Saimir Zmali, coordinatore del Popolo della Famiglia Umbria, in un post su facebook: “Gli errori in politica si pagano… si pagano a caro prezzo. Se oggi abbiamo una modifica dell’utilizzo della Ru486 fino alla nona settimana, è grazie ad un errore politico commesso in Umbria. Spero che qualcuno abbia capito l’errore è che d’ora in poi metterà il bene comune al posto della propria immagine”.

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