Un altro tema caldo della campagna elettorale. Varie le soluzioni proposte dalle diverse coalizioni politiche per riformare il sistema pensionistico in Italia. Ecco una panoramica che racconta costi e benefici delle misure inserite dai partiti nei rispettivi programmi.
Il sistema pensionistico in vigore
Oggi è in vigore il regime della pensione di vecchiaia a 67 anni (età che dovrà essere adeguata negli anni successivi in base all’aspettativa di vita, ndr) con un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Ci sono poi diverse modalità di pensionamento anticipato, tra cui l’Ape volontario o sociale, Quota 102 (64 anni e 38 anni di contributi versati), pensione anticipata per mansioni usuranti e infine pensioni per i cosiddetti “lavoratori precoci” e Opzione donna.
Dal primo gennaio 2022, senza una modifica legislativa, si ritorna alla legge Fornero che fissa a 67 anni l’età di pensionamento, anticipabile – con taglio dell’assegno – per gli uomini con alle spalle almeno 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi.
Opzione donna, quota 41 e pensioni a mille euro: le proposte del centrodestra
Il centrodestra affronta il tema pensioni con tre proposte sul tavolo. Forza Italia punta sull’aumento delle pensioni minime e sociali a 1.000 euro al mese. La mossa costerebbe complessivamente 31,2 miliardi di euro. Lo rileva l’Osservatorio dei conti pubblici italiani. In base ai dati Inps (relativi al 2020) – si legge in uno studio dell’Osservatorio – i pensionati con un reddito fino al trattamento minimo (515,58 euro) sono di 2,1 milioni, quelli fino a due volte il minimo (tra 515,59 e 1031,16 euro) sono 3,8 milioni.
Il cuore della ricetta sulle pensioni del centrodestra è quota 41: la proposta è stata avanzata dalla Lega. La misura consentirebbe l’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi versati, al netto dell’età. Un provvedimento per agevolare i “lavoratori precoci”, ossia chi ha iniziato a lavorare e versare contributi prima di aver compiuto 18 anni. Le due idee, quota 41 e pensioni minime a 1.000 euro, se combinate tra loro costerebbero ben 30 miliardi l’anno. Per Quota 41 si parla nello specifico di 8 miliardi l’anno. Terzo tassello del programma del centrodestra è il potenziamento di Opzione donna, una misura richiesta dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che consente alle lavoratrici dipendenti o autonome di andare in pensione a 58 anni d’età, con 35 anni di contributi e ricalcolo contributivo.
Il Pd punta sull’Ape sociale
Il Partito democratico non ha nel proprio programma una proposta ben definita per rimodulare il sistema pensionistico in Italia. Il punto di partenza è garantire una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione, a partire dai 63 anni di età, da realizzarsi nell’ambito dell’attuale regime contributivo e in coerenza con l’equilibrio di medio e lungo termine del sistema previdenziale. Sono due gli strumenti su cui punta il Partito democratico: l’Ape sociale e Opzione donna.
“È necessario consentire l’accesso alla pensione a condizioni più favorevoli a chi ha svolto lavori gravosi o usuranti o lavori di cura in ambito familiare, anche rendendo strutturali Ape sociale e Opzione donna”, si legge nel programma Pd. L’Ape sociale è un’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps a lavoratori in difficoltà che chiedano di andare in pensione al compimento dei 63 anni. È stata introdotta dalla legge di stabilità 2017 e poi prorogata di anno in anno fino all’ultima legge di Bilancio, per cui la misura è ancora in vigore per tutto il 2022, per chi raggiungerà i requisiti previsti nel corso dell’anno. È una forma di sussidio integrativo alla pensione per chi sceglie di uscire dal lavoro anticipatamente.
La sinistra di Fratoianni e Bonelli vogliono l’uscita dal lavoro a 62 anni e pensioni minime a 1.000 euro
Più definita e strutturata invece risulta la proposta avanzata dalla federazione Sinistra Italiana-Europa Verde, la lista alleata del Pd, sulle pensioni. Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni propongono l’uscita dal lavoro a 62 anni o con 41 anni di contributi, riconoscendo inoltre i periodi di disoccupazione involontaria, il lavoro di cura non retribuito, la maternità. Per le pensioni minime anche per Europa Verde e Sinistra Italia la richiesta è di portarle e 1.000 euro al mese.
Il M5S stoppa il ritorno della Fornero e chiede l’anticipo di un anno per ogni figlio alle mamme
Il presidente dei pentastellati Giuseppe Conte dice “no” al ritorno alla legge Fornero attraverso l’allargamento delle categorie dei lavori gravosi e usuranti che potranno beneficiare di uscite agevolate. Il M5s propone di consentire ai lavoratori che sono nel sistema misto (tutti coloro che prima del 31 dicembre 1995 hanno un’anzianità contributiva, ndr) di uscire a 63 anni percependo subito la parte contributiva, a cui verrà sommata quella retributiva al raggiungimento dei 67 anni. Il M5s promette la proroga di Ape sociale e Opzione donna e riconoscimento alle mamme lavoratrici di un anticipo di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di 3 anni. Poi la proposta di una pensione di garanzia per i giovani e del riscatto gratuito della laurea.
La posizione del Terzo polo
Il Terzo polo non propone nel proprio programma elettorale uscite agevolate dal lavoro per il prossimo anno. Per il leader di Italia Viva Matteo Renzi e quello di Azione Carlo Calenda pare sia giunto il momento per la Legge Fornero di tornare in vigore. Calenda ha bocciato senza esitazione la proposta di quota 41 avanzata dalla Lega e in studio al programma televisivo In Onda spiega: “Costerebbe 65 miliardi di euro, la metà di quanto lo Stato italiano spende per tenere in vita il servizio sanitario nazionale”. Le stime dell’Inps più aggiornate danno ragione al leader di Azione: se questa forma di pensionamento anticipato fosse introdotta nel 2022, in nove anni avrebbe un costo superiore ai 65 miliardi di euro, pari a circa 7,3 miliardi l’anno.
Anche l’ex premier Matteo Renzi in passato si è dichiarato contro quota 100 e quota 41, auspicando però nuove misure di flessibilità, soprattutto per i lavoratori più in difficoltà. Renzi ha proposto di allargare l’Ape sociale sulla base di reali esigenze, andando a scegliere caso per caso tra i lavori usuranti, perché purtroppo le risorse non ci sono per tutti.