Doveva ottenere un escavatore. Per questo un geometra ternano di 39 anni, funzionario dell’Anas, più di una volta avrebbe chiuso un occhio dopo alcune verifiche sul cantiere di un’impresa – mettono nero su bianco i carabinieri – “riconducibile ad uno dei sodali” della cosca che non aveva i permessi necessari per portare avanti i lavori sulla Ss341 nel comune di Vanzaghello. Il geometra avrebbe prima redatto dei verbali e poi, in cambio della promessa di un escavatore, avrebbe fatto sparire tutto.

Il professionista ternano è una delle undici persone coinvolte nella maxi operazione dei carabinieri contro la ‘ndrangheta scattata all’alba di ieri. A finire nel mirino di investigatori e inquirenti sono state persone ritenute vicine alla locale di ‘ndrangheta di Legnano Lonate Pozzolo, storicamente collegata alla cosca Farao Marincola di Cirò Marina, accusate, a vario titolo, di corruzione, estorsione, rapina, spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi da fuoco clandestine, incendio doloso, minaccia aggravata, favoreggiamento personale.

L’indagine – collegata all’operazione “Krimisa”, che aveva portato all’arresto di 34 persone e aveva mostrato l’infiltrazione della cosca nelle istituzioni con l’arresto di un consigliere del comune di Ferno (Varese) – “ha consentito non solo di confermare l’assoluta pervasività dell’associazione mafiosa negli apparati pubblici e nelle amministrazioni locali”, scrivono i militari in una nota, “ma ha permesso di documentare il potere delle cosche di ‘ndrangheta anche in territorio estero confermandone ancora una volta la vocazione transnazionale”.

Tra gli 11 finiti nei guai ci sono anche degli “insospettabili”. Oltre al geometra ternano, c’è ad esempio un consulente esterno della procura di Busto Arsizio, titolare di un’agenzia investigativa, che lavorava anche per “un autorevole esponente della locale di Legnano-Lonate Pozzolo” aiutandolo a ricercare potenziali microspie o gps e dandogli dritte sulle inchieste in corso al palazzo di giustizia varesotto.

Nelle carte dell’inchiesta sono finiti anche due ufficiali della polizia locale di Ferno e Lonate Pozzolo – al momento indagati -, che stando agli inquirenti avrebbe avuto “rapporti” con il clan per “favorire un esponente dell’associazione mafiosa” rivelandogli con anticipo i controlli sui cantieri. Per questo giovedì mattina i carabinieri hanno effettuato perquisizioni nei comuni.

E quando c’era da mostrare i muscoli, il clan non si faceva problemi. A gennaio 2020, infatti, appartenenti alla famiglia Rispoli – da sempre guida della locale di Legnano Lonate – avrebbero organizzato una spedizione punitiva a Malta per vendicarsi di un imprenditore che non aveva pagato alcuni lavori eseguiti sull’isola da amici degli stessi aggressori. L’uomo era stato raggiunto, massacrato di botte e costretto a saldare in contanti e con bonifici bancari.

In quell’occasione – ed è forse l’intercettazione emblematica di tutto il lavoro di investigatori e inquirenti – uno degli indagati si era lasciato andare a una frase che riassume tutto: “La ‘ndrangheta – aveva detto – non è morta”.


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Durante gli arresti, i carabinieri hanno anche messo le mani su 10 chili di esplosivo Tutagex 821 (si tratta di candelotti di dinamite), 4 pistole ed un fucile a canne mozze, tutti con matricola abrasa, silenziatori e centinaia di munizioni.



Fonte articolo Terni Today

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