Fra successi inaspettati, grandi ritorni e debacle più o meno attese, il voto di domenica spazza via leader e politici di lungo corso. Enrico Letta e Matteo Salvini: sono loro gli sconfitti eccellenti dopo la tornata elettorale. Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte le sorprese.
È tempo di analisi post voto: i vincitori dell’ultima tornata elettorale portano il volto di Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi nel centrodestra, Giuseppe Conte per il M5S, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni nel centro-sinistra, che superano lo sbarramento del 3%. Per Matteo Salvini l’amarezza di un risultato al di sotto delle aspettative è addolcita dalla prospettiva di portare la Lega al governo, mentre i vertici del Partito democratico si preparano a un terremoto dopo la batosta che li vede fermi sotto il 20%.
Gli errori di Letta portano il Pd sotto il 20%
Per Enrico Letta la soglia di sopravvivenza era fissata al 20%. Obiettivo fallito: il Pd si ferma al 19,6%. Le ragioni della disfatta elettorale del Pd sono tante. Il segretario del Pd ha puntato tutto sul Nord, convinto di poter risucchiare voti a Matteo Salvini e Giorgia Meloni nel mondo delle imprese e dei professionisti. La scelta di ignorare le istanze del Sud ha aperto un’autostrada al M5s che nel Mezzogiorno ha dilagato, attestandosi come primo partito e portando a casa la vittoria in tanti collegi uninominali. Letta ha poi commesso almeno altri due errori strategici: la rottura dell’alleanza con i Cinque stelle per inseguire l’agenda Draghi e lo strappo con Carlo Calenda. Passi falsi che hanno determinato il deludente risultato elettorale. Ora il leader del Pd ha le ore contate al vertice del Pd. Nella conferenza stampa post-voto, Letta ha annunciato: “Errori ci sono, ci sono stati. La scelta che ho fatto è nell’interesse di un Pd che ha bisogno di far partire la legislatura. Credo che sia meglio che sia io a convocare il congresso rispetto ad altri. Il mio è un gesto d’amore, poi la mia leadership finirà. Io vorrei che il congresso avvenisse nei tempi più rapidi possibili”.
Il segretario dem ritorna poi sullo strappo con Conte: “Alleanza con il M5S? So benissimo che le sconfitte sono molto solitarie, io sono in coscienza convinto di aver fatto quello che era necessario e giusto fare, per contrastare questa destra penso sia molto importante si riprendano le file di relazioni che consentano di fare un’opposizione efficace. I numeri dimostrano che l’unico modo di battere la destra era il campo largo, ma non è stato possibile perché alcuni interlocutori si sono sfilati, altri sono stati con noi e li voglio ringraziare. Sono molto amareggiato per l’esito della candidatura di Emma Bonino, il fuoco amico di Calenda non lo ha permesso”.
La vittoria agrodolce per Salvini che però non molla la leadership
La vittoria del centrodestra ha l’amaro in bocca per Matteo Salvini. La Lega scende sotto la quota del 10% e rischia il sorpasso da parte di Forza Italia. Il leader del Carroccio resiste e non si dimette. Quali sono le ragioni di un tracollo così evidente? La Lega aveva raccolto nel 2019 alle ultime europee il 34%, mentre nel 2018 alle politiche il 17%. Sicuramente ha pesato sul risultato negativo l’appoggio al governo Draghi e le posizioni troppo ambigue sulla guerra in Ucraina. Salvini però non intende mollare la guida della Lega: “Una fase di riorganizzazione del movimento, puntando su sindaci e amministratori, è fondamentale. Quando la Lega è al governo e può portare avanti le sue battaglie, non ce n’è per nessuno. Ora partirà un giro di ascolto in tutta Italia. Dobbiamo valutare con Roberto Calderoli, che è il massimo esperto, quanto tempo ci metteremo a fare tutti i congressi cittadini, poi provinciali e regionali. Poi faremo un bel congresso federale con idee, a quel punto la Lega sarà al governo già da tempo”.
L’ex ministro dell’Interno riflette sulle ragioni del crollo: “Alla Lega è costato il sostegno al governo Draghi. Se mi chiedete se lo rifarei, rispondo che lo rifarei”. Allontanando l’ipotesi delle dimissioni: “Non ho mai avuto così tanta determinazione e voglia di lavorare. Il mio mandato – ha aggiunto – è in mano ai militanti, non in mano a due ex consiglieri regionali e un ex deputato. Non è un’autoassoluzione, mi prendo io tutte le responsabilità, mi faccio carico degli errori. Onori e oneri, sono abituato a fare così”. Intanto domani si terrà il consiglio federale.
Berlusconi e Conte, le due sorprese
Le due sorprese della tornata elettorale sono Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte. I due partiti, Forza Italia e M5s, dati per morti all’avvio della campagna elettorale, hanno compiuto una clamorosa rimonta.
Forza Italia tallona la Lega all’8% e raggiunge cifre oltre il 10% nel Sud. Nonostante l’addio delle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, Forza Italia regge e respinge anche l’assalto al centro da parte del Terzo Polo. Silvio Berlusconi si conferma un vero e proprio fuoriclasse della campagna elettorale. La mossa su TikTok, la scelta pro Putin e la caccia all’elettorato over 65 premiano Forza Italia. Berlusconi si candida ora a essere il regista del governo. “Berlusconi ha smentito di voler fare il presidente del Senato. Il ruolo di regista sì, ma non è interessato a questa carica. Prima possibile occorre mettersi al tavolo per superare il momento di transizione” commenta Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia alla Camera, nella sala stampa organizzata dal partito a Montecitorio. “Non si è ancora parlato di ministri – ha aggiunto – ma ovviamente Tajani è una risorsa per il centrodestra e non solo. Quando ci si siederà con i nostri alleati, proveremo a formare una squadra capace di dare risposte al Paese”.
Il Sud tira la volata al M5s, che in meno di due settimane recupera terreno. I Cinque stelle toccano quota 15%. La spinta però arriva dal Mezzogiorno dove Giuseppe Conte porta il Movimento a essere il primo partito in Campania, Sicilia e Calabria. Due i fattori: il reddito di cittadinanza, al Sud c’è il numero più alto di percettori del sussidio, e l’affluenza bassa.