Un detenuto è morto nella serata di ieri, martedì 30 maggio, nel carcere di Sabbione a Terni. Stando alla ricostruzione del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, l’uomo sarebbe rimasto intossicato dal fumo di un incendio da lui stesso appiccato all’interno della sua cella. Poche ore prima, a Pescara, un altro detenuto si era tolto la vita, innescando una protesta degli altri carcerati.
Un detenuto, affetto da problemi psichiatrici, è morto all’interno della sua cella nel carcere del Sabbione di Terni. A provocarne il decesso sarebbe stata un’intossicazione da fumo, a seguito di un incendio appiccato dallo stesso detenuto. Il sindacato di polizia penitenziaria Sappe ha reso noti i dettagli di quanto accaduto, denunciando inoltre una situazione già altamente critica all’interno della struttura e la mancata risposta delle autorità alle richieste di intervento del personale.
Sindacato di polizia: “Tragedia annunciata”
“Siamo amareggiati e arrabbiati. Questa – è il commento di Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria – è una tragedia annunciata ed è anche la conseguenza di una sottovalutazione alle continue sollecitazioni di intervento per il Sabbione che facciamo da mesi e mesi. Un uomo che perde la vita durante la detenzione è sempre una sconfitta per lo Stato: e questo nonostante il personale di polizia penitenziaria abbia fatto di tutto per evitarlo”.
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Secondo quanto riferisce il sindacalista, l’uomo deceduto aveva dato fuoco a tutto quello che aveva in cella e in pochissimo tempo è stato sopraffatto dalle fiamme e dal denso fumo nero che si è propagato. “A fatica – continua Bonino – i poliziotti presenti e quelli arrivati di rinforzo, anche liberi dal servizio, sono riusciti a intervenire, rimanendo anche intossicati, ma purtroppo non c’è stato nulla da fare. Non vi erano avvisaglie che il detenuto avrebbe potuto compiere l’insano gesto. Era stato assegnato qui dal provveditorato regionale della Toscana e l’altro ieri aveva avuto un’udienza in Liguria”.
A Pescara si è tolto la vita un detenuto 40enne
Nel pomeriggio di martedì 30 maggio, nel carcere San Donato di Pescara un italiano di 40 anni si è ucciso all’interno della sua cella. Inutile l’intervento del medico del carcere e del personale sanitario del 118 giunto sul posto. La notizia circolata all’interno dell’istituto penitenziario ha provocato una rivolta da parte degli altri detenuti, poi rientrata. Si tratta della 24esimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno in Italia, e del secondo a distanza di pochi mesi nell’istituto di Pescara.
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Il Sappe chiede le dimissioni dei vertici dell’amministrazione penitenziaria
Una tragedia, scrive il Sappe, “avvenuta nel contesto di una situazione penitenziaria assai critica che da mesi denunciamo e rispetto alla quale nessun intervento è stato mai adottato. Il Sabbione è una polveriera, lo denunciamo da tempo e il timore che qualcosa di irreparabile sarebbe successo si è verificato. I vertici dell’amministrazione penitenziaria della Toscana, da cui dipende l’Umbria – conclude il sindacalista – si devono dimettere per le loro incapacità a dare soluzioni ai problemi penitenziari umbri e della polizia penitenziaria che nelle carceri regionali lavora. Il Dap mandi subito una visita ispettiva in carcere“.
“Ripensare il carcere ed espellere i detenuti stranieri”
“La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere – commenta il segretario generale Sappe Donato Capece – Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza delle carceri del Paese. Il personale di polizia penitenziaria è stremato dai logoranti ritmi di lavoro a causa delle violente e continue aggressioni e situazioni ad altissima tensione, come quella vissuta ieri sera al Sabbione”.
Donne in carcere, dal sovraffollamento all’assenza di personale medico: la vita delle detenute in Italia
“Sono decenni che chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene – prosegue Capece -come anche prevedere la riapertura degli ospedali psichiatrici giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinario. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della polizia penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”.
Fonte Agi