Tutto comincia una mattina di cinque anni fa. Dai verbali risulta che sono all’incirca le 9.30. Lei, trentenne, si trova nel suo negozio nel centro di Terni, quando un vigile urbano entra nell’attività commerciale dicendo che fuori c’è una macchina in divieto di sosta e che dunque va spostata. Altrimenti, scatterà la multa.

La donna ammette senza problemi che quella macchina è la sua, ma che non può spostarla perché non ha la patente. Poi si rivolge al vigile dicendo che, data la situazione, il Comune avrebbe potuto realizzare qualche striscia bianca in più per permettere a più persone di poter parcheggiare. Una battuta, che però non viene raccolta come tale.

È a questo punto che la storia si ingarbuglia. Secondo il racconto della donna, il vigile le chiede i documenti perché vuole identificarla. Lei dice di non avere con sé la carta d’identità ma poi – pur essendo sprovvista di patente – sposta la macchina e la toglie dal divieto di sosta.

“Il vigile urbano è rientrato nel negozio, gridando e minacciandomi”. Ci sarà anche qualche testimone che confermerà come dalle parole si sia effettivamente passati ai fatti. “Ho i referti medici del pronto soccorso, le foto dei lividi ai polsi. Sono stata costretta a seguire dieci sedute dallo psicologo per una depressione post-traumatica”.

La donna viene multata: per la guida senza patente e per diverse altre infrazioni. Totale, cinquemila euro di sanzioni. “Che io – ricorda – ho puntualmente pagato”.

Alla fine della mattinata da incubo, la donna decide di sporgere denuncia contro il vigile urbano per aggressione. “Ma dopo un mese e mezzo, la mia denuncia è stata archiviata”.

Il vigile presenta una controdenuncia, imputando alla donna di non avere prima voluto fornire le sue generalità e poi di averle fornite non corrette. Nonostante, per inciso, i dati presenti sulle contestazioni che la donna ha pagato senza che nessuno le abbia mai sottolineato alcun errore.

La denuncia del vigile, al contrario di quella della donna, va avanti. E si arriva in un’aula del tribunale di Terni. Un’udienza dietro l’altra, testimoni, ricostruzioni. La donna, assistita dagli avvocati Francesco Sensi e Massimo Marcucci, si presenta puntualmente in aula fino alla scorsa settimana, giorno previsto per la discussione e la sentenza.   

Il pubblico ministero chiede la condanna, la difesa ricostruisce i fatti dall’inizio e presenta un memoriale in cui sono fissate tutte le tappe della vicenda. Ma la sentenza non lascia troppi margini: condanna a otto mesi di reclusione. “Nonostante io non abbia mai avuto problemi con la giustizia – racconta la donna – e sia dunque incensurata”.

“Una condanna piuttosto pesante”, è il commento dell’avvocato Sensi. Che ora aspetterà di leggere la sentenza – 30 giorni – per poi preparare l’appello.


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Fonte articolo Terni Today

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