“Si tratta di un dispositivo ‘wolf friendly’ – spiega Riccardo Primi, ricercatore dell’Università della Tuscia – che attraverso un sensore è in grado di rilevare le anomalie del suono che indicano un possibile attacco dei predatori. Ad esempio, rilevando belati o uno scampanellio più alto rispetto alla media dei rumori ambientali, il dispositivo invia immediatamente un messaggio sul cellulare dell’allevatore. In questo modo, il produttore può recarsi subito sul luogo e verificare l’accaduto, evitando o contenendo i danni da fauna selvatica. L’evoluzione a cui stiamo già pensando, sarà l’azionamento di strumenti deterrenti, come luci che si accendono o il suono di una sirena in caso di rilevato pericolo degli animali”.
Il progetto ha altri due scopi: sviluppare un sistema per la certificazione nutraceutica dei prodotti ottenuti con l’allevamento estensivo, ed elaborare una marketing label che sia garanzia di tutela ambientale per il consumatore che decide di acquistare carne e latte prodotti in questo contesto. L’Università della Tuscia (coordinatore il prof. Bruno Ronchi), ha condotto per quasi 2 anni diversi test per accertare il valore salutistico di quanto prodotto tra le alte colline e la montagna umbra. “Abbiamo campionato i foraggi – racconta il ricercatore Primi – con cui si nutrono gli animali. Gli acidi grassi dell’erba si ritrovano poi nella carne, nel latte e, quindi, anche nei formaggi. Questi prodotti fanno bene alla nostra salute perché presentano un profilo nutrizionale molto bilanciato tra acidi grassi saturi e insaturi, e sono ricchi di antiossidanti rispetto ai prodotti che arrivano da allevamenti intensivi. Pertanto, sono alleati nel ridurre l’obesità, tengono a bada il colesterolo e, in generale, le malattie metaboliche. Un ringraziamento va agli allevatori che hanno contribuito al successo del progetto e alla Cia con cui auspichiamo di fare ulteriori passi avanti”.