Il test combinato e il test NIPT non sono invasivi e possono ridurre il ricorso inappropriato alla diagnosi prenatale invasiva
La diagnosi di anomalie cromosomiche come la trisomia 21, detta anche sindrome di Down, è possibile solo con i test invasivi come villocentesi o amniocentesi eseguite con l’introduzione di un ago sottile nell’ambiente uterino attraverso l’addome materno. Il Nipt – “Non invasive prenatal testing” è, invece un test non invasivo per diagnosi genetica prenatale e si basa sulla ricerca nel semplice prelievo da sangue materno del Dna libero di origine fetale delle più comuni anomalie dei cromosomi del feto: trisomia 21 (sindrome di Down), trisomia 18 (sindrome di Edwards) e trisomia 13 (sindrome di Patau) nello screening di base. Questo esame può essere effettuato precocemente fin dalla decima settimana di gravidanza e ha una sensibilità più elevata rispetto agli altri test di screening non invasivi.
Insomma un test efficace e largamente utilizzato nonostante i costi non accessibili per tutti. Si parte da un’esame basico dal costo di circa 550 euro ad uno completo il cui costo raggiunge i 1300 euro. Alcune regioni, forse maggiormente attente alla natalità, il test è completamente rimborsato (accade già in Toscana, L’Emilia Romagna e la Puglia ma altre regioni si stanno “attrezzando”) mentre in Umbria ancora nulla.
Nel 2017 il consigliere regionale Carla Casciari (Pd) che, in occasione della terza Giornata nazionale della salute della donna, istituita dal ministero della Salute, annunciava di aver depositato una mozione sull’argomento. “Il Nipt – sottolineava Casciari – è considerato ormai dalle più importanti società scientifiche di ginecologia ostetricia un esame innovativo ed affidabile, oltre che non invasivo. Questo esame può essere effettuato precocemente fin dalla decima settimana di gravidanza e ha una sensibilità più elevata rispetto agli altri test di screening non invasivi. Nelle linee guida adottate dal ministero della Salute – evidenziava ancora Carla Casciari – si legge che il Nipt riduce drasticamente il ricorso ad indagini diagnostiche invasive quali l’amniocentesi o la villocentesi, abbattendo il numero degli aborti collegati alle tecniche di prelievo dei tessuti fetali e le possibili complicanze per le gestanti. Dagli ultimi dati Istat risulta che l’Umbria è tra le regioni italiane con l’età media al primo parto tra le più elevate mentre continuano a diminuire il numero di amniocentesi effettuate in favore del Nipt, eseguibile però solo presso strutture private“.
“Per questo motivo – concludeva Casciari – ritengo necessario e doveroso, in qualità di donna e rappresentante delle istituzioni, chiedere alla Giunta regionale di considerare l’opportunità di introdurre fra i servizi offerti alle donne in gravidanza il ‘Nipt base’ per le donne residenti in Umbria e con età superiore ai 35 anni, garantendone la gratuità e accompagnando il percorso con una eventuale consulenza genetica che, in caso di necessità, orienti la donna verso una scelta consapevole”.
Nel 2018 l’Assemblea legislativa dell’Umbria approvava all’unanimità la mozione del consigliere regionale Carla Casciari che chiedeva alla Giunta di “garantire anche in Umbria, il test non invasivo per la diagnosi genetica prenatale (Nipt), consistente in un prelievo ematico che può evitare il ricorso all’amniocentesi ed ha un costo molto contenuto ma, ad oggi, non è compreso nel sistema sanitario nazionale quindi è solo a pagamento.”
Dopo tale mozione circa 3 anni di silenzio, sino ad arrivare al 13 maggio 2021, quando Simona Meloni, consigliere regionale (PD) ha presentato una mozione sul NIPT: “Serve un impegno sul ‘Non invasive prenatal testing’, un esame innovativo in quanto eseguibile tramite un prelievo di sangue materno in grado di rilevare alcune tra le principali anomalie cromosomiche quali la trisomia 13, 18 e 21. Il Nipt infatti riduce drasticamente il ricorso alle indagini diagnostiche invasive, abbattendo il numero degli aborti collegati alle tecniche di prelievo dei tessuti fetali e le possibili, ancorché rare, complicanze per le gestanti”. Sull’atto è intervenuto anche Tommaso Bori: “Per quanto riguarda i test per la diagnosi precoce sulla ricerca di patologie o anomalie genetiche, sono test che comportano un rischio, ma sono in campo nuovi test non invasivi che non sono diagnostici, ma suggestivi di alcune patologie e non mettono a rischio la gravidanza. Una buona parte dei test prevede una diagnostica ecografica, gli altri dei prelievi ematici, decisamente poco invasivi rispetto ad altre procedure. Ricordo anche che c’è un atto dell’Assemblea legislativa che ne prevede l’inserimento nei Lea. Se no, facciamoli extra Lea, ma occorre garantire le prestazioni. L’Assessore dovrebbe riferire sul tema”. Da maggio ad oggi, l’assessore si sarà espresso sul tema?