L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte e della cultura avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.
di Azzurra Immediato
Chi conosce Massimo Mattioli, come giornalista, critico e curatore, sa bene due cose: Egli è in grado di avere idee geniali – strettamente simbiotiche all’universo del logos – e sa risolvere, in modo impensabile, problemi – figlio di una sapiente techné – Chi non lo conosce molto bene, può riconoscergli certamente un eclettismo culturale di ampiezza immane, tal quale alla sua umiltà. Al lettore debbo confidare che avere questa intervista non è stato semplice, perché Massimo Mattioli non ama esporsi, ma stavolta è Raffaello Sanzio a chiederlo, a cinquecento anni dalla sua scomparsa. Nell’anniversario occorso in questo 2020, molte sono state le iniziative per ricordare il genio del maestro urbinate e, accanto alle grandi mostre blasonate, Mattioli ha ben pensato di andare oltre il già noto, per riscoprire cosa il Sanzio ha lasciato in Umbria, terra natia del curatore tuderte e non distante dalla città di Urbino. Un progetto imponente, una sfida degna della ricerca di Massimo Mattioli al quale abbiamo chiesto di raccontarcene la genesi e lo sviluppo.
Raffaello e l’Umbria. Un progetto di mostra, o meglio un tragitto di mostra, che unisce luoghi dell’Umbria centrale nel segno del Sanzio. Come è nato questo itinerario?
La presenza di Raffaello in Umbria è documentata dal 1498 al 1505 circa. Sette anni, dei soli 37 della sua breve ma sfolgorante esistenza. Anni fondamentali per la sua formazione, basti pensare che giunse a Perugia quindicenne. Eppure sono soltanto due le sue opere oggi presenti nella regione: gli affreschi nella chiesa perugina di San Severo e uno stendardo processionale conservato a Città di Castello. Molti capolavori qui realizzati, infatti, dallo Sposalizio della Vergine alla Madonna di Foligno, alla Crocifissione Gavari, sono oggi esposti dai più importanti musei al mondo. Se dunque della sua presenza non restano grandi testimonianze pittoriche, fondamentali furono invece le influenze che Raffaello ebbe su generazioni di artisti umbri. Allievo, o per molti precocissimo collaboratore, del Perugino, con alcuni di questi condivise la bottega dal Maestro, mentre altri li ebbe come seguaci diretti. A tutti trasmettendo le grandi novità da lui innestate sulla maniera peruginesca, dalle dinamiche spaziali al ruolo plastico del colore. Questo itinerario, nato come approfondimento nelle more del cinquecentenario della morte del grande artista, propone quindi un percorso alla ricerca delle tracce raffaellesche nelle opere di molti di questi artisti operanti nell’Umbria centrale…
Bettona, Bevagna, Deruta, Foligno, Montefalco, Todi. Città di un entroterra ricco di storia che, grazie a Raffaello, si riaprono al grande pubblico, anche quello delle mostre negate da questo 2020. Quale è stato l’approccio di questi luoghi con il progetto da te proposto?
Il momento, ovviamente, è decisamente particolare: gli amministratori hanno problemi da risolvere quotidianamente legati alla pandemia e ai suoi devastanti effetti sociali. Quindi, sulle prime, hanno compreso la portata del progetto, limitandosi però ad offrirmi la più completa collaborazione nelle fasi di studio e di sopralluogo. Del resto, questa iniziativa crea una rete fra opere già presenti negli spazi coinvolti, non prevede spostamenti, allestimenti, scelte curatoriali. Nel momento in cui si è concretizzata, tuttavia, tutti hanno preso coscienza dell’importanza di questo progetto, anche in termini di marketing territoriale: e sono “scesi in campo” in prima persona, assicurando il proprio impegno nella comunicazione, che è l’aspetto chiave. E visto che la contingenza dell’epidemia ha praticamente azzerato gran parte della stagione (prevedevamo il lancio in aprile/maggio, l’abbiamo presentato a metà settembre), tutti sono stati concordi nel prorogarlo anche alla Primavera 2021.
Queste, dunque, le influenze del maestro urbinate nel presente; quelle, invece, del passato, come ben dimostra il tuo progetto curatoriale, sono state di grande rilievo, tanto da aver definito ed instradato artisti per intere generazioni. In che modo sono leggibili e cosa da queste dovremmo imparare per offrire ad antichi borghi e scrigni appenninici un nuovo modus operandi per il futuro, a partire dal passato?
L’itinerario conduce i visitatori alla scoperta di sorprendenti piccoli e appartati musei, o di affascinanti chiesette immerse nel verde delle campagne. Suggerendo di puntare l’occhio anche su opere di grandi artisti predecessori, per costruire il contesto trovato da Raffaello al suo arrivo: da Masolino da Panicale a Todi a Benozzo Gozzoli a Montefalco, al Maestro Pietro Vannucci Il Perugino, presente a Bettona, ancora a Montefalco, a Foligno. Fino alla curiosità di Deruta, dove il Sanzio impresse il suo stile addirittura su un intero genere creativo, le ceramiche in “stile raffaellesco”. Nello spazio di poche decine di chilometri si incontrano personalità di grande rilievo, come Giovanni di Pietro detto Lo Spagna, allievo del Peruginocome Raffaello, e a lui debitore quanto a costruzione spaziale della scena e a realistica eleganza nelle figure. O Ascensidonio Spacca, detto Il Fantino di Bevagna per la sua bassa ed esile statura, la cui opera, dove a volte riemergono rigidezze peruginesche, invade le terra natale: fornendo sostanza al vero obbiettivo di questo percorso, quando porta a scoprire chiese isolate nei borghi umbri come la Madonna delle Grazie, la SS. Annunziata o San Lorenzo, nell’area di Bevagna. Da questa esperienza emerge che il modus operandi virtuoso di piccoli borghi e cittadine, per distinguersi in un complesso sempre più fluido, è proprio quello di unire gli sforzi verso un obbiettivo condiviso. Lavorare sull’organizzazione, sul coordinamento, sulla valorizzazione di un patrimonio comune o comunque affine, all’insegna della sussidiarietà…
‘Sussidiarietà’ un concetto antico che riporta alla mente il lavoro di bottega, in cui il fine comune era sostenuto da un lavoro di gruppo, teso alla realizzazione di opere d’arte o architetture che, ancora oggi, rappresentano la geografia artistica del nostro Paese, quella che l’intero mondo ci invidia. Perché è questo che accade, ancora oggi: l’invidia degli altri giustifica una stasi senza fine nel mondo della cultura, una stasi che a fatica tenta di muoversi nel basso della mediocrità, che affida ruoli politici alle più sonore incompetenze e ruoli di prestigio legati alla cultura ad esemplari da rivista e red carpet. La volontà che il progetto ‘Raffaello e l’Umbria’ porta avanti è quella di una giusta ricerca, la medesima che molti di noi ricorderanno nei capitoli dei grandi manuali d’arte del liceo o dell’università, quelle ricostruzioni puntuali che hanno dato un senso critico alla Storia dell’Arte, riconoscendovi, in essa, la Storia dell’Uomo. La cecità dinanzi alla quale sempre più ci ritroviamo, in un mondo troppo spesso fatto di sagre e lotterie di piazza – senza solitamente conoscere né la tradizione enogastronomica né le origini della piazza stessa – invece che di sviluppo culturale, per fortuna, di tanto in tanto, si scontra con curatori appassionati e politici illuminati. Chi non ha compreso che la cura per i mali del nostro tempo è la cultura, resterà malato di ignoranza. Raffaello Sanzio è testimone di quanto l’influenza dell’arte, da Urbino a Roma, sia stata punto nodale del Rinascimento e riconoscerne, cinquecento anni dopo, gli sviluppi diretti ed indiretti significa delineare nuovamente le identità di luoghi di quell’entroterra italiano – da Nord a Sud – mai davvero considerato, sempre satellite buio dei grandi poli attrattivi. ‘Raffaello e l’Umbria’ è certamente una sfida appassionata, spregiudicata di chi ama osare. E non poteva che essere un’idea di Massimo Mattioli.
Ad maiora!